Che sfortuna essere un genio

di UMBERTO BOTTAZZINI
16 SETTEMBRE 2001, Il Sole 24 ore

  • Girolamo Cardano – Matematico, medico, ma anche astrologo e giocatore d’azzardo: un ritratto a cinquecento anni dalla nascita
  • Da una "nobile e antica" famiglia originaria di Cardano, un paese "che dista circa ventiquattro miglia da Milano e solo sette da Gallarate", il 24 settembre 1501 nasce a Pavia una delle figure più straordinarie e controverse del Rinascimento. Fuori del comune sono già le circostanze della nascita, almeno nel racconto che ne fa egli stesso. Dopo che la madre "aveva tentato senza risultato dei preparati per abortire", viene alla luce privo di sensi, con i capelli neri lunghi e ricciuti. "Strappato al suo grembo come morto, mi ha rigenerato un bagno di vino caldo che a un altro sarebbe potuto riuscire fatale". Quel singolare bagno restituisce alla vita Gerolamo Cardano, il figlio illegittimo che Fazio ha avuto da una vedova di vent’anni più giovane, che egli sposerà solo poco prima di morire. Fazio è un giureconsulto "balbuziente e pieno di interessi", uno "studioso delle opere di Euclide" che insegna matematica nelle Scuole Piattine a Milano ed è ricordato anche da Leonardo nel Codice Atlantico. L’infanzia non è per Gerolamo una stagione spensierata: a quattro anni, egli ricorda, "venivo picchiato dai miei genitori senza ragione e tante volte mi sono ammalato rischiando anche la vita". Finalmente a sette anni, quando "decisero di astenersene", cominciò per lui l’obbligo di accompagnare il padre, portandogli libri e carte "come un servo con una strana ostinazione, per non dire crudeltà". Comunque, pur "senza un regolare tirocinio scolastico", dal padre apprende "nella prima infanzia, i rudimenti dell’aritmetica e poco dopo, quando avevo circa nove anni, certe nozioni quasi occulte che non so donde avesse tratte. Successivamente mi spiegò l’astrologia degli Arabi".

    Gerolamo è dotato di qualità non comuni, se a vent’anni comincia a frequentare all’Università di Pavia e "alla fine dei ventuno" vi insegna Euclide, spiega la dialettica e la metafisica, tiene "dispute sotto la guida del Corti, che occupava la prima cattedra di medicina". Celebre all’epoca fu la sua disputa di tre giorni col Camuzio, professore a Pavia e poi primario dell’imperatore Massimiliano II, "costretto al silenzio già sul primo argomento e al primo giorno". L’episodio, ricorda Cardano, "ebbe tale risonanza che non si discuteva tanto dell’argomento della disputa ma della forza con cui era stata condotta", che appariva "inattaccabile". Certo, le sue capacità dialettiche dovevano essere formidabili e temute, se "a Milano come a Pavia e a Bologna, in Francia e in Germania, da quando avevo circa ventitré anni non sono riuscito a trovare qualcuno che fosse alla mia altezza nella discussione o nella disputa". Non si trattava soltanto di accademici esercizi di erudizione. Le pubbliche dispute nelle piazze rinascimentali spesso decidevano della sorte delle "letture", gli incarichi di insegnamento nelle università.

    Ma la Lombardia dell’epoca è teatro di ben altre e drammatiche contese. Sconfitto dagli Spagnoli, l’esercito francese si ritira lasciando alle spalle una tremenda pestilenza. L’Università di Pavia viene chiusa e Cardano si rifugia nella Repubblica Serenissima, dove consegue la laurea in artibus a Venezia e quella in medicina a Padova. In quegli anni dà libero corso alla sua sfrenata passione per gli scacchi e il gioco d’azzardo. "Così ho dilapidato contemporaneamente la mia reputazione, il mio tempo e il mio denaro", rimpiangerà in vecchiaia, vantandosi tuttavia di aver scoperto negli scacchi dei problemi che "superavano veramente per difficoltà la capacità umana" e, nel gioco d’azzardo, di avere spiegato "che cosa sia il fato e come si esplichi" e rivelato "la causa di fenomeni straordinari". Ad esempio, scriverà Cardano nel De ludo aleae, formulando per la prima volta la cosiddetta Legge dei grandi numeri, "si deve in generale osservare, tanto per i dadi quanto per gli astragali che dal momento che entrambi completano il circuito in tanti lanci quante sono le loro facce, sei per i dadi quattro per gli astragali, ne consegue che in un qualunque numero di lanci di dadi o di astragali, fossero anche cento, ciascuno esaurisce tutte le possibilità allo stesso modo. Pertanto se il numero totale da essi esibito viene diviso per il numero delle facce ne risulta il valore medio".

    Morto il padre, in contesa con altri parenti per l’eredità, dopo la laurea Cardano si stabilisce a Piove di Sacco, non lontano da Padova, dove esercita la professione di medico. Un sogno, uno degli innumerevoli che sembrano scandire le vicende della sua vita, gli preannuncia l’incontro con la futura moglie. In un giardino di delizie gli appare "una fanciulla vestita di bianco". Ma ecco che "al primo bacio un giardiniere corre a chiudere la porta. Lo supplico di lasciarla aperta ma senza risultato: mesto, allacciato alla fanciulla, mi vedo chiuso dentro". Pochi giorni dopo egli incontra per strada "una fanciulla in tutto simile nel volto e nelle vesti" a quella del sogno. "Da quel giorno cominciai non dico ad amarla ma a bruciare d’amore per lei". Il matrimonio è felice, ma il vero significato del sogno, dirà più tardi Cardano, "si dispiegò senza più ombre nella vita dei miei figli". Il primogenito, accusato di aver avvelenato la moglie fedifraga e i suoceri, sarà arrestato e decapitato in carcere. Il minore, per "i crimini e le malefatte", sarà fatto arrestare più di una volta dal padre, che infine lo farà bandire per furto da Bologna. "Non può non suscitare stupore il fatto che i miei sogni siano tanto veritieri", si vanta Cardano. La capacità di prevedere in sogno gli avvenimenti fa parte della "particolare prodigiosa natura", di cui Cardano è convinto di essere dotato, che si manifesta anche in "un rumore nell’orecchio" quando si parla di lui e in uno "speciale splendore", un cerchio di luce "che giova alla mia fama, alla mia professione, al guadagno e alla solidità degli studi" e si manifesta per "mio speciale artifizio".

    Comunque sia, dopo il matrimonio Cardano cerca invano di essere accolto nel Collegio dei medici di Milano. La domanda è respinta per essere egli un figlio illegittimo. Si mantiene insegnando matematica nelle Scuole Piattine, come aveva fatto il padre. A quell’epoca risale l’origine della contesa con Tartaglia intorno formula risolutiva delle equazioni di terzo grado, un "capitolo" che Luca Pacioli nella sua celebre Summa (1494) aveva dichiarato "impossibile a risolvere con regola generale". Ottenuta la formula da Tartaglia sotto giuramento "ad sacra Dei Evangelia" di mantenere il segreto, Cardano viene poi a sapere che "Scipione del Ferro bolognese già trent’anni or sono scoprì questa regola e la diede ad Anton Maria Fiore veneziano, la cui contesa con Niccolò Tartaglia bresciano diede a Niccolò l’occasione di scoprirla" a sua volta. Sentitosi così libero dal giuramento, Cardano pubblica la regola nell’Ars magna ovvero le Regole dell’Algebra (1545), un libro che segna una svolta nella storia dell’algebra ma suscita l’ira furibonda di Tartaglia. Nei Quesiti et inventioni diverse (1546) questi tratta Cardano come un "huomo che tien poco sugo", uno "tondo" che incespica nei problemi più elementari. Ludovico Ferrari, allievo di Cardano, accorre in difesa del maestro indirizzando a Tartaglia un pubblico "cartello di matematica disfida". Ne segue una contesa interminabile, dalla quale Cardano si mantiene estraneo. Tartaglia "preferì acquistare un rivale, per giunta a lui superiore, piuttosto che farsi un amico a lui legato da un debito, anche se poi la scoperta non era neppure sua" è il suo lapidario commento.

    Cinque anni dopo l’Ars magna, Cardano dà alle stampe il De subtilitate, un trattato che riscuote uno straordinario successo in Europa. Cardano è un intellettuale curioso e spregiudicato e in quello zibaldone raccoglie una miniera di notizie, di osservazioni empiriche e superstizioni, di speculazioni filosofiche e citazioni di classici, di descrizioni di eventi prodigiosi e marchingegni curiosi, come i congegni cui ancora oggi è legato il suo nome, il giunto e la sospensione. Cardano descrive come funziona la Sedes mira, il seggio mirabile costruito da un meccanico di Cremona per l’imperatore Carlo V affinché "mentre viene trasportato, egli rimanga immobile e sieda comodamente, in qualunque posto ci si fermi". Infatti, "se si dispongono tre anelli d’acciaio in modo che attorno ai poli si possano muovere in su e in giù, in avanti e indietro, a destra e a sinistra" allora l’imperatore "resta sempre fermo nella carrozza, comunque la si muova".

    Accettato finalmente nel Collegio milanese, nel giro di vent’anni Cardano si afferma come medico di eccezionale talento. I personaggi più influenti della città, dal viceré di Spagna al vescovo, al delegato pontificio, si affidano alle sue cure. Attraverso i suoi libri la fama si sparge per l’Europa. Viene chiamato a insegnare medicina a Pavia. Riceve offerte dal papa Paolo III e da Cristiano di Danimarca. L’arcivescovo di Scozia, che "era già ricorso invano alle cure dei medici del re di Francia e in seguito dell’imperatore Carlo V", gli invia cospicue somme di danaro per convincerlo a recarsi a curarlo. Cardano vanta di possedere capacità diagnostiche tali da scommettere: "Se il malato stava per morire, io mostravo qual era la sede della malattia e se alla sua morte si vedeva che avevo sbagliato mi impegnavo a pagare cento volte quello che avevo ricevuto". Conosce a memoria Aristotele, Ippocrate e Galeno, ma non esita a metterne in luce errori e contraddizioni, denunciando al tempo stesso "l’andazzo dei medici del nostro tempo", i quali per non venir meno "alle parole e alla stima di Galeno (oh numi!) uccidono impunemente gli infermi". Le maldicenze sul suo conto, alimentate da colleghi invidiosi, e la tragedia del figlio primogenito lo costringono a lasciare Pavia per Bologna, dove finisce per essere oggetto delle attenzioni del Sant’Uffizio. Non poteva essere altrimenti per qualcuno che dedicava i suoi libri a Osiander, scriveva che i teologi "si compiacciono solo di cose che ai più sembrano paradossi; così, ad esempio, affermano che si deve abbracciare la povertà, mentre noi insegniamo che si deve fuggire", aveva pubblicato un Elogio di Nerone e si era cimentato addirittura con l’oroscopo di Gesù Cristo. Incarcerato, ottiene la libertà al prezzo del falò di un certo numero di manoscritti e di un’abiura pronunciata coram congregationem. In seguito, grazie ai buoni uffici di un cardinale, suo amico e protettore, il Papa lo accoglie nel Collegio dei medici romani e gli assegna un vitalizio. "L’avida e inconsulta tendenza alla divinazione", che Cardano si riconosce, lo porta a vaticinare: "Io morrò all’età di anni settantadue, mesi due e giorni dodici e cioè nel 1573 al 5 di dicembre". Per sua fortuna si sbagliava di quasi tre anni. Non si sbagliava invece quando, ossessionato dal desiderio di raggiungere la gloria imperitura che gli era stata annunciata tante volte in sogno, auspicava alla fine dell’Ars magna: "Scritto in cinque anni, possa durarne altrettante migliaia".